TRIESTE – «Il porto è porto e le sue banchine devono rimanere tali. L’area è centrale nello sviluppo del Veneto e se si ritiene necessario diversificare con un’altra economia, su cui siamo d’accordo, certamente si potrà contare su uno sviluppo serio in aree diverse da quelle a destinazione portuale».
Così il presidente di VPC (Venice port community), Davide Calderan, interviene pubblicamente chiedendo tutela per l’economia del comparto portuale, difendendo investimenti e prospettive del tessuto imprenditoriale intero.
«Il presidente dell’Autorità portuale ha un compito – aggiunge Calderan -, che è quello di gestire gli spazi. C’è una proposta, la si condivide con gli enti, come il Comune o la Città metropolitana o Regione, operatori e quando si trova una scelta, le cose vanno più spedite. Siamo del resto concordi con il Comune, che sia giusto che la città sia messa al corrente del dibattito».

Entrando sul tema del waterfront, Calderan precisa: «Riteniamo che si stiano accendendo un po’ troppo i riflettori su questo tema e crediamo siano altre le priorità che chi governa debba mettere al centro della città. Da un lato e dall’altro. Non crediamo che il waterfront sia il cardine dei problemi del territorio. Fermo restando che però riteniamo che città e porto possano assolutamente dialogare nel bene dell’economia che si sviluppa attorno all’area. Nell’attesa, auspichiamo che tutti gli attori coinvolti possano collaborare con attenzione per il futuro della zona».
«Per noi il porto, le banchine e le zone retrostanti devono restare porto. A meno che non ci venga detto che quello di Venezia deve morire, ma deve esserci una presa di posizione politica chiara e netta in questo senso. Ricordiamo che il settore è un’economia fondamentale per non fagocitare Venezia nella morsa del turismo. Senza questa, Venezia rischia di non avere destini, almeno nel medio periodo, diciamo i prossimi dieci-vent’anni. Immaginiamoci cosa potrebbe succedere con una riconversione. Azzerare il porto significherebbe far attendere, realmente, decenni prima che un’altra economia possa soppiantare quella esistente. E in questo lasso temporale cosa potrebbe succedere? La morte di Venezia. Non quella dei libri, quella reale. Perché la città potrebbe contare esclusivamente sul turismo. Non ci sarebbero alternative».

Da ultimo, la precisazione: «Non arriverebbero più merci dal resto del mondo, non si svilupperebbe più un indotto veneto, dalla siderurgia all’agroalimentare, tutto sarebbe in mano al turismo. E se una volta “uccisa” Venezia, si “uccidesse” anche il resto del Veneto? immaginiamo che l’emorragia di residenti in laguna sia replicata in tutte le città “belle” della regione: Treviso, Verona, Padova, Vicenza, ma anche tutti i bellissimi borghi che contraddistinguono il nostro territorio. Allora sì, sarebbe troppo tardi».