TRIESTE – Levente Magyar, viceministro ungherese agli Affari esteri e Commercio ha celebrato come “storico” il momento che, grazie al nuovo terminal del porto di Trieste, riporterà l’Ungheria sul Mediterraneo a 100 anni dalla Prima guerra mondiale.
Le parole dell’esponente del Governo Orban sono state pronunciate durante la visita allo scalo del Friuli Venezia Giulia e consentono di intravvedere una collaborazione forse più ampia di quella prevista dal nuovo insediamento di Adria Port sui terreni dell’ex raffineria Aquila (fra Trieste e Muggia). Difficile non vedere in quel discorso il ricordo dei fasti austroungarici che tanto lustro diedero al porto di Trieste.
Sempre se l’italica, proverbiale buroicrazia non ci metterà del suo per rovinare la possibile festa. Così, quando un giornalista chiede quando diventerà operativo il terminal multipurpose, il viceministro Magyar risponde: «Questo è ciò che tutti si chiedono in Ungheria, perché abbiamo avviato questo progetto nel 2018. È stato allora che il governo ungherese ha iniziato a implementarlo in collaborazione con gli amici italiani. E sono passati sette anni. Quindi in Ungheria la gente si chiede: perché non ci sono ancora navi nel porto? E dobbiamo spiegare ogni volta che è un processo lungo. Occorrono almeno dieci anni dalla decisione iniziale fino alla piena operatività. Ora siamo nella seconda metà di questo percorso».
L’esponente politico ungherese ricorda che la visita a Trieste serve a celebrare l’inizio dei lavori (opere di banchinamento in carico all’Autorità di sistema portuale), gli sforzi sin qui messi in campo e l’impegno che servirà a superare la complessa burocrazia ambientale italiana, complicata come quella ungherese.
«Il nostro obiettivo è che entro il 2028 il porto sia operativo, almeno per iniziare le attività. Potremo poi migliorarlo gradualmente, ovviamente. Per noi è un passo storicamente importante, perché bisogna ricordare che l’Ungheria ha perso il suo accesso al mare. Come ha sottolineato il mio collega ministro, da 100 anni l’Ungheria è un Paese senza sbocco sul mare, dalla fine della Prima guerra mondiale, in parte a causa dei conflitti che abbiamo avuto con l’Italia» prosegue Magyar.
«Siamo stati privati dell’accesso al mare, ma siamo diventati abbastanza forti economicamente da avere un volume significativo di esportazioni. E abbiamo bisogno di una nostra via diretta al mare. Stiamo collaborando con Slovenia, Croazia, Romania e i porti tedeschi, ma il nostro miglior alleato in questo progetto si è rivelato essere l’Italia, perché è stata l’unica a dirci: “Venite qui, siete i benvenuti, costruite il vostro porto in collaborazione con noi» dichiara apertamente il viceministro ungherese.
«Quindi, ci sentiamo a casa qui, ci sentiamo accolti, e dovete capire cosa significa per noi, a livello emotivo, tornare sul Mediterraneo grazie a questa opportunità italiana, che si inserisce in un contesto di interessi geopolitici differenti. Stiamo collaborando con Cina, Russia, facciamo parte ovviamente dell’Unione Europea, abbiamo ottimi rapporti con l’amministrazione Trump, quindi abbiamo amici nel mondo, ma non sempre sono amici tra loro. A volte questi rapporti – prosegue il viceministro – hanno portato tensioni in Ungheria o operazioni contro il nostro Paese, come è successo in passato. Attualmente non ci troviamo in una situazione così grave, ma dobbiamo rimanere sempre vigili, perché siamo una nazione relativamente piccola, situata tra Est e Ovest, Nord e Sud. Ma ci siamo abituati: la nostra storia è stata sempre una lotta per proteggere la nostra sovranità. Questo investimento è fondamentale per la nostra indipendenza economica ed è un grande passo avanti per noi, un evento storico. Per questo siamo grati di essere qui oggi».