TRIESTE – Nonostante la situazione complicata a livello globale con guerre, recessione e strascichi della pandemia, l’oleodotto Tal di Trieste dovrebbe tornare presto ai livelli pre-pandemia.
L’infrastruttura che rifornisce di petrolio greggio una parte importante dell’economia di Sud e Centro Europa, sta comunque studiando alternative: carburanti sintetici e comunicazione quantistica nel futuro a medio termine.
Dopo la firma di un protocollo per l’utilizzo dell’oleodotto per la comunicazione quantistica, proprio in questi si è tenuto un incontro dal quale è scaturito un accordo per definire un caso pilota. Tra qualche settimana si inizierà a lavorare ad un primo progetto ed entro sei mesi sarà realizzato un laboratorio di comunicazione super sicura.
Nel frattempo, la società di gestione (Siot-Società italiana per l’oleodotto transalpino) e il presidente Alessio Lilli sono alle prese con le proteste di alcune comunità che dovranno ospitare sistemi di cogenerazione, ritenuti inquinanti.
Presidente Lilli, Guerra in Ucraina, pandemia, crisi economica globale. Sembrava un periodo decisamente complicato, ma i traffici di Tal-Siot hanno tenuto. Oggi com’è la situazione?
«È una situazione in evoluzione positiva. I traffici stanno piano, piano riprendendo e presto traguarderemo valori molti vicini ai valori prepandemici. L’anno scorso la pandemia c’è stata ancora e poi c’è stato l’incidente (una raffineria in Austria, ndr) che ci ha tolto dal profilo di consegna per quattro mesi. Si tratta di circa 10 milioni di tonnellate l’anno».
La questione “petrolio russo” e le sanzioni dovute alla guerra in Ucraina, invece, come stanno incidendo sui traffici dell’oleodotto?
«Zero impatto. Le sanzioni sul greggio russo sono diventate attive dal 5 dicembre, prima era possibile importare greggio russo all’interno dell’Ue. Comunque, per quanto ci riguarda, incideva tra per circa l’8% come quota di mercato».
Veniamo alle prospettive future. È sempre dell’idea che la transizione ecologica, entro 10 anni, porterà a dimezzare la quantità di greggio che passa per Trieste?
«Non sarei stupito se tra 10 anni l’impatto degli investimenti in transizione energetica potesse avere queste conseguenze. Al momento, uno degli effetti della guerra in Ucraina è stato quello di porre attenzione sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici. Il modello europeo favoriva l’economicità di tali approvvigionamenti, ma senza interrogarsi sulle implicazioni geopolitiche. Ora viene ripensato il sistema di raffinazione europeo. Certe raffinerie, non quelle che fanno riferimento ai nostri traffici, sembravano a fine vita ma potrebbero continuare a produrre. Altra dimensione è la conversione in bio-raffinerie per la produzione di carburanti sintetici. Anche se non è detto che abbiano bisogno del nostro oleodotto. Oggi le raffinerie rompono i legami degli idrocarburi. Si può fare il processo contrario, ma costa tanto in termini di energia. Il processo diventa sostenibile se si riesce a ottenere energia gratuita o a bassissimo costo».
Anche Siot insegue l’autonomia nella produzione energetica, ma gli impianti di cogenerazione che avete da poco presentato, vi stanno dando qualche problema con le comunità locali. Perché?
«Perché non c’è stata adeguata comprensione di che cosa stiamo facendo. C’è una parte di responsabilità nostra perché abbiamo ritenuto abbastanza scontato ciò che stavamo portando avanti. Faccio l’esempio del Triveneto, dove ci sono centinaia di impianti di cogenerazione: non c’è stata alcuna protesta. C’è ne uno anche in Regione a Paluzza. Mai una riga di protesta. Sono impianti funzionali a garantire la transizione energetica: purtroppo questo messaggio non è passato. Aggiungo che c’è stato un parere tecnico di un ente a carattere privatistico ma pur sempre importante, che ha destato molta apprensione. Ebbene, le analisi non erano corrette. Abbiamo cercato a lungo un dialogo finora negato, che ora forse riusciremo ad avere».
Di solito Siot è molto attenta alle relazioni esterne, per non cadere in situazioni di crisi. Questa volta cosa è successo?
«Territori che sono molto delicati e che hanno molto a cuore la tutela dell’ambiente, hanno reagito come avrebbe fatto chiunque: opponendosi al progetto. Ma vorrei evidenziare che i cogeneratori dei quali stiamo parlando emettono CO2, non gas inquinanti. Tanto per fare un esempio pratico, una stufa a pellet inquina come 700 stufe a gas. Ora stiamo cercando di ristabilire un colloquio sui territori, dove forse siamo stati un po’ distanti negli ultimi anni».